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Piazzetta G.Romano, n.15, 82037 Telese Terme, BN P.I.01283530622 |
Frangere flutti
Ascendere all’aria condizionata
Sbucare da una buca
Abbracciare il cordone ombelicale
Auto-spegnersi
Togliere l’occasione
Addormentarsi è morire
Rifarsi una buca
Solleticarsi per vivere
Darsi un premio in denaro
Tacere ostinatamente tacere
Guardarsi al tramonto
Muovere le mani
Le mani si muovono da sole
Scalare una montagna di foto
Sentire la fine come un rumore
Guidare e farsi guidare
Le ali spiegate agli adulti
Aver sospiro di un sorriso
Il miracolo è la malattia
Tingere gli occhi chiusi
Innalzarsi di una pianta
Gemere una salubrità dell’aria
Vecchio per questo gioco
Aver fatto posta sulle piaghe del mare
Rimproverarsi il destino dimenticato
In fondo al corridoio la pena
Nascondersi per farsi trovare
Che delusione che sono!
Incompiuto furibondo incoerente!
Un giubilo invecchiato!
Prugna delle labbra a contatto del vino
Collera d’una meditazione trascendentale
Chi vive paga il prezzo
Amore amore scaduto
Si fa notte poco a poco
L’autore non è l’autorità
Discostarsi per un attimo da te
Volavo e sono caduto
Gli indumenti a mezzo servizio
Scendere nell’ombra aperta
Grigio come orario della puntualità
La canzone del mio amico Baglioni
Il piatto da cantare la strofa da lavare
Una canzone per cambiare le parole
Scritte scritte dove non si sa
Chi ascende non può frenarsi
Si chiama Sergio mano nella mano
Pagare una lunga sosta andar via prima
Culminare non è il culmine
Digiunare masticando peyote
Franare da Instagram a Dio
Giudicare secondo il giudizio delle posate
Sovvertire il giudizio regnante
Prendere di profilo la faccia del risvolto
Macchiare è essere macchiati
Vedere una stella dal tetto
Vedere una stella dal balcone
Vedere senza esser visti da una stella
Pugnalati per pugnalare
Odore di cristallini erborei
Mia sorella salta l’ostacolo e vince
Io gioisco mentre cado in trance
Le gocce di rugiada ingialliscono
Sul dito puntato cade una sanzione
Il silenzio è d’oro
Mi piace fare cose nuove. Non stare fermo sullo spartito: essere una nota musicale improvvisata. Far festa, come ragazzi nei giardini polverosi che abbiamo conosciuto. La Gioia vuole che guardiamo con riserbo la Vita, non con distacco. Evitiamo gli scempi d’amore. Verrà il tempo per incatenarci a qualcosa per sempre, un tempo in cui il corpo diverrà un sasso o una spina e il vedere avrà gli occhi celesti di un cielo rasserenato. Allora potremo dire di amare perché riusciremo a toccare senza possedere, espandere senza occupare. Ora ci spetta l’equilibrio della conservazione, la trebbiatura della fatica, con gli anelli del colore sospesi a distanza dal nostro giudizio. Nient’altro ci appartiene. Niente. Solo scegliere possiamo da che parte stare. Questo sarà il nostro modo di tornare all’origine. Senza titolo, senza nome. Con il biglietto in mano, pronti per il controllo a fine viaggio. Mentre un uccello, dal cielo, governa la luce
Un giorno saremo sospesi
come un palloncino nell’aria
e raggiungeremo un’altezza considerevole
perché il cielo aiuta a crescere.
Ma è del punto di vista minore
credere che vi sia un cielo
sol perché è ignoto alla vista
il vedere
Non ci si pone in una logica alternativa a quella esistente. Come se tutto fosse disciplinato dalla sensatezza. Mi ricordo di aver letto che nella guerra di trincea certi corpi individuali sfuggivano al controllo del corpo d’armata e mentre gli aerei segnavano nel cielo i loro ritmi discendenti si aprivano un varco impossibile nell’aria gelida. Facevano una passeggiata nel delirio per dire a loro modo basta a quella perdita di senso che era la guerra. Ecco, così mi sento: improvvisamente incapace di assolvere disciplinatamente al mio compito, che è quello di vivere e morire senza un grido, obbedendo ad un ordine che non ho ben compreso, ma che vedo eseguire allo stesso modo. Ora la mia anima è sazia del gorgo letale, cerca gli occhi che le hanno donato un istante di libertà. Per paradosso, quegli occhi perduti stanno in campo avverso e improvvisamente zittiscono il rumore assordante d’intorno
Aurora è nata. Il mio amico Gianni le ha augurato d’essere forte, molto più forte della società che troverà. Mi sembra un gran bell’augurio. La virtù, d’altro canto, ha molto in comune con la forza, come sosteneva Cicerone (nonostante Montaigne). M’inchino sempre a chi vive il gesto dell’avvicinamento all’altro come un corrimano, un modo d’andare avanti avvicinandosi al contatto che fa dell’umano un potente abbraccio. M’inginocchio dinanzi a chi mi fa entrare nel suo abbraccio come in una chiesa piena di silenzi, preghiere, riconoscimenti e spiritualità. Sembra che sia finito quel che ha appena avuto inizio e sembra che cominci la luce lì dove cala il buio. Torna, per Aurora, l’idea che all’amore sempre si faccia ritorno, con un cuore eletto a fiore ingigantito. E mi soccorre il Leopardi napoletano di Aspasia, “circonfusa d’arcana voluttà”. Dunque, è nata Aurora, in un arco temporale che si staglia su di noi come sibili dimensionali di un’attività solare che prevede per ciascuno almeno un accoppiamento magnetico. Non si può non seguire Gianni corridore o ciclista nella direzione del suo pallone ovale viaggiante nell’universo, particella di sudore strettamente personale che lo sforzo di esistere da lui compiuto incrementa a dismisura fino a noi, con quelle mani ferite del dono, le mani di un uomo solo sul corrimano di un avvicinamento multiplo. Vedi, se Aurora nasce in un giorno preciso della vita di ogni giorno questo fatto costituente riguarda tutti noi, anche nonno Enrico e la famiglia gioiosa. Loro sono alla testa del vagone di ossigeno molecolare che determina l’effetto ottico del rosso agli angoli del pianeta, ma noi, tutti noi, siamo i raggi che si discostano dal cielo e rendono calda la temperatura di un abbraccio. Perciò, continuiamo a camminare (o a correre o a pedalare, come fa Gianni) per non perdere il ritmo della ricerca, anche se le gambe vengono meno, perché Aurora è nata e bisogna andarla a cercare, nella casa della Madre perduta. Un forte vento dissipa le zone erogene dell’atmosfera, facciamo quadrato, serriamo le fila, il nemico avanza sulle ali di un vecchio bombardiere per privarci dei sogni che hanno eretto le chiese ormai chiuse, come i nostri occhi illanguiditi dall’amore. E sia Aurora sovrastante l’apparizione del bolide infernale, rettilinea nel nome che le è stato dato, uno smeraldo con artigli di luna piena. Dia sempre battaglia, quando il tempo e lo spazio le sarà cancellato da falsi testimoni e sciami del pensiero dominante. L’origine del suono della sua parola rimanga nell’onda del mare, da cui veniamo e a cui torneremo. Aurora, Aurora, ogni bocca ha un colore, ogni bacio ha una storia! Non sospirare invano se nessuno sospira con te, ascolta il coro delle tue emozioni. L’anima di Chichita Calvino, da poco scomparsa, segue da lontano la tua festa. E una strada scoperta al sole e alla pioggia sia per te vedere lo spettacolo della natura che ti sta intorno. Un’ultima parola, con Gianni ed Enrico, voglio dedicarla all’insolita circostanza che non ti conosco, non conosco i tuoi genitori, la città in cui sei nata, i primi vagiti della nebbia che ti ha dato forma. Endre Ady direbbe che sei nata per prendere il mio posto in “altre estati estenuate dal fuoco, altre notti di stelle cadenti”. So perché ti ho dedicato questo mio pensiero: Aurora è un libro di aforismi, scritto contro i pregiudizi morali da un poeta e filosofo tedesco dell’Ottocento. Sarebbe gradito a molti che la nascita di un essere umano vada in profondità, superi il mal costume delle torture interiori ed esordisca come una forza nervosa auto-liberatrice. Posso dire, con Massimo Cacciapuoti, che la gioia umana si concentra nel distribuire più che nel produrre. In fondo, cara Aurora, il piacere di stare insieme ci impone non solo e non tanto di creare parole, ma di aprire le braccia all’aurora che viene.